di Franca Stia
Monica Scarletta non era bella, ma gli uomini che ne subivano il fascino, come i gemelli Salerno, di rado se ne rendevano conto.
Nonostante la giovane età, Monica era in sovrappeso, e in lotta col cibo da ormai troppo tempo. Poco sinuosa nelle movenze, anzi, a tratti goffa. Ciò che colpiva il maschio alfa era lo sguardo penetrante, e triste. Una miscellanea di bellezza, malinconia e disagio, traspariva da quelle iridi nere come carboni; tanto vibranti da far sussultare chiunque, per caso, fosse incappato in quegli occhi grandi e rotondi come la luna piena d’estate.
Questa donna era “esagerata” per la testa e il cuore degli uomini in genere, e non meno per i gemelli Salerno.
Figli di un umile e onesto pescatore, e di una prostituta poco amorevole, Ciro e Gennaro avevano scelto la via dei soldi facili, come insegnava “mammà”! Esigui furti nei negozi di quartiere, fin da piccoli i due ragazzi a malapena si distinguevano fisicamente. Soltanto quella macchia sulla pelle, tra le scapole, rendeva Ciro in qualche modo diverso dal gemello. Alti, magri come spighe, il sorriso beffardo stampato in volto, e uno stecchino stretto fuori dai denti, ai lati della bocca: questa la loro presenza “scenica”!
I ragazzi, ormai trentenni, quel giorno stavano scaricando vecchie macchine per cucire Singer da un furgoncino malandato; erano troppo indaffarati a imprecare per accorgersi del passaggio di Monica sullo stesso marciapiede. La ragazza, sudata e affaticata dalle buste della spesa ricolme di ogni ghiottoneria, teneva lo sguardo basso, provando a restare in equilibrio per non cascare davanti alla gente in piazza, e soprattutto davanti a “quei due”. Conosceva soltanto di nome gli spilungoni del paese, e voleva starne alla larga come le aveva insegnato sua nonna sin da piccolina.
“È gente senza pudore! Loro, e la madre, vecchia strega. Oh, povero uomo, che ha dovuto accogliere le disgrazie che il Ciel gli ha donato!”
L’eco delle parole della sua adorata vecchietta risuonava come una dolce cantilena nella sua testa. Improvvisamente, però, Monica sobbalzò quando si sentì strattonare il braccio da uno dei due spavaldi gemelli.
«Uè, cicciona, statt’accuort! Non vedi che con le buste hai sbattuto contro una delle nostre macchine? Guard ’a ‘nanze, e vedi dove cazzo metti quei piedi ciotti. Sennò, la prossima volta te facce veré ì!»
Paonazza in volto, gli occhi sgranati e il respiro affannoso, questa volta per la paura, Monica non sapeva cosa rispondere. In verità, ogni parola sarebbe stata vana di fronte all’arroganza e all’ignoranza dei soggetti in questione.
Palpiti, vampate, salivazione azzerata: stava per svenire lì, davanti a tutti.
«Muoviti Ciroo! Lascia stare la signorina Monica e lasciala passare. Non l’ha fatto apposta. È vero, signurì?» disse Gennaro. Nella sua voce, un misto di scontrosità e gentilezza che stonava assai alle orecchie di Monica, che scosse la testa quasi d’istinto.
Ciro mollò la presa sul braccio della ragazza, guardando in malo modo il fratello che in pubblico gli si era rivolto con tanta arroganza.
“Sa il mio nome? Sa il MIO nome!” La mente paralizzata su questo unico pensiero; Monica era in panico, completamente. Gennaro si precipitò verso di lei per prenderla mentre cadeva molle sulle gambe. Il peso delle buste non resse l’intervento dell’uomo, e caddero a terra con un tonfo che attirò l’attenzione della gente in strada. Le occhiate sbigottite e diffidenti delle donne anziane, le mani accostate alle bocche per nascondere i labiali di commenti inopportuni, il ghigno di uomini insolenti, le risate sgarbate dei bambini.
Monica con sedere e gambe a terra, Gennaro le reggeva il busto voluminoso per evitare che battesse la testa. La cascata di capelli ricci e mori sulle braccia di lui sembrava uno scialle ricamato a mano. Il vestito lento, indossato per coprire le morbide forme, ora, non riusciva a nascondere il seno prosperoso: Gennaro buttò un’occhiata fugace in quel dolce declivio, finendo a guardarla negli occhi per chiederle se stava bene. Era preoccupato, lo era davvero.
«Io… io…» bofonchiò Monica, il respiro ora calmo ma la mente e gli occhi ancora appannati.
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