Call to action - L'eretico metropolitano

di Fabio Duranti

Sono un uomo moderno, assai sociale, molto cordiale, ma con un difetto fondamentale: sono un eretico metropolitano.

Le gesta della cavalleria del Graal, la vita del Buddha storico, le vicende eroiche dei Catari, il profumo dei fiori del male dei poeti maledetti, gli stati alterati di coscienza, mi hanno sempre attratto.

Per il resto, sono in apparenza un uomo nella norma. Fumo due pacchetti di sigarette al giorno bevendo, insieme ai miasmi del tabacco, circa dieci caffè al dì. Mi alzo presto, a volte alle quattro del mattino. Scendo con garbo nel primo bar aperto del paesello nativo, e faccio la prima colazione, seguita da almeno altre tre.

Vivo nei bar, tra gente sfasata, ridicola e buffa. Sono un ludopatico di classe e non leggo i giornali da anni. Aspiro al bene assoluto, alla luce delle luci degli gnostici, al nirvana direbbero i buddisti. Eppur son qui, in questo mondo a solfeggiare la monotonia delle giornate sempre uguali nell'essenza.

Lavoro in una famosa catena di fast food, e ogni giorno mangio hamburger e patatine, dopo esser stato per trent'anni vegetariano incallito. Non sono sposato, attualmente sono addirittura single con un figlio di nove anni vivente, e perso in qualche via della città.

Sospiro di giorno, sono in estasi la notte. La mia vita onirica è interessante, ho diverse fidanzate sparse nel regno di Morfeo che vengono a trovarmi di notte, senza fare sesso, ma baciandomi gentilmente sulla fronte.

Sono un eretico perché considero la vita il flusso eterogeneo di un sogno, come la cristallizzazione di un mistero buffo basato sull'illusione. Da molto si parla del velo di Maya qui in occidente, e tale teoria mi pare assai calzante per illustrare l'esistenza umana che si consuma sotto i raggi infuocati del sole.

Da trentacinque anni non guardo la televisione, da venticinque non ascolto alcun tipo di musica. Sapete perché? Le sette note mi hanno ben stufato! Aspiro alla musica delle sfere di cui parlava Pitagora. Mi sento in gabbia nelle tre dimensioni consuete, il mondo mi pare un penitenziario. Eppure, dopo essere stato per decenni un manicheo convinto, un dualista, ora sono un perfetto vedantino non duale.

Cosa importa arrabbiarsi, sospirare, gemere di dolore nell'ansietà, se tutto è un sogno? Vanità delle vanità è detto nell'ecclesiaste, tutto è vanità.

Sono un eretico buffo, assai allegro, molto sociale. Scambio idee con tutti, simpatizzo pure con poppanti e corvi, scambio sguardi perfino con gli alberi: sono un eretico metropolitano. La mia eresia profuma di antico, pur esternata nell'epoca moderna.

Non seguo alcuno sport, non ho la macchina, sul computer riesco a malapena a inviare e-mail. La tecnologia mi è estranea, roba di un universo non mio. La sete di guadagno – pur aspirando all'agiatezza – in me è bizzarramente assente. Pochi spiccioli ho sempre nelle tasche, e molti debiti perenni con l'ufficio delle entrate che, in modo kafkiano, mi chiede sempre interessi su denari da me non guadagnati.

Sono un eretico metropolitano con l'alto ideale di sviscerare i misteri reconditi della vita. Mi ritenete ambizioso? Esaltato? Egocentrico? E così sia, ben venga l'infamia dell'esser eretico: se vivere equivale a passare dalla culla alla tomba, nella spensieratezza e nell'inganno dei passatempi, allora non vivo. Risolto il problema.

Sono un cadavere ambulante, un moribondo che porta a passeggio il suo corpo di carne, budella, sangue; sono un fantasma dell'essenza di me stesso, un simulacro, una maschera adagiata sul volto dorato dell'anima più pura.

Ma i miei simili, compagni di ventura nella giostra della vita, cosa invero sono loro? Anch'essi fantasmi, doppioni di qualche matrice di base, figure di sogno che si muovono lungo i binari della vita, sonnecchiando e ansimando, mai contenti, mai paghi delle gioie, mai domi dai dolori.

Conosco pochi eretici metropolitani come me, ma qualcuno pur esiste! Siamo una banda di perdenti, senza appiglio al mondo, vincenti in quanto perdenti, trionfanti sulla consuetudine della vita ordinaria.

Ecco, mi son presentato, scendo alle otto di sera a sorseggiare l'undicesimo caffè della giornata. Tra poco andrò a dormire e la mia doppia vita si dispiegherà nella sua magnificenza.

Vi svelo un segreto: dormendo son sveglio, e sveglio quasi dormo, poiché, come disse Ermete il tre volte grande: «Il sonno del corpo è la lucidità dell'anima.»

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