di Serena Matarazzo
Una sottile lingua di carta faceva capolino dal cassetto della scrivania di Aldo. Entrai nella stanza, tirai il pomello per aprire, ma il tiretto oppose resistenza. Al terzo caparbio strattone si aprì, mostrando il suo interno. A dire il vero, esplose: decine di fogli e vecchie carte, ingiallite e impiastricciate, si riversarono sul pavimento. Ne raccolsi una e iniziai a leggere:
«15 Febbraio 1981.
Cara Giulia,
questa mattina ho lavorato pensieri, emozioni e parole come mai prima d’ora. Ho dovuto impastarli per bene prima di scriverti e solo ora, che sono tutti legati insieme come malta, posso farne un massetto di supporto a ciò che sto per confessare.
Sono vent’anni che mi manchi. Partii da Casal Cermelli vent’anni fa e da quel giorno non ho smesso di pensare a te. Ricordo bene l’ultima volta che sono stato lì: era il 15 febbraio 1961. Non sapevo che quel giorno t’avrei vista per l’ultima volta, ma forse l’universo sì, e quindi pensò bene di dare un segno al mondo intero, legando quel ricordo a un evento unico.
Alle 8:35 del mattino, un silenzio irreale scese sul parco in cui i miei avevano preso casa. Tutti si fermarono col naso all’insù e d’un tratto fu notte fonda. Il cerchio della luna oscurò quello del sole, e la corona che rimase a vista mi riaccese il ricordo della sera prima: di quel dado esagonale che avevo trafugato a Nasca, il meccanico, perché m’ero messo in testa di volerti sposare. Eravamo piccoli, è vero, però io credevo che un giorno t’avrei sposata.
Sono sicuro che l’eclissi, a Casal Cermelli, la ricordano tutti, ma proprio tutti. Anche le galline di zia Lucia, atterrite dal buio improvviso, si affrettarono a rientrare nel capanno; e pure il figlio piccolo dei Sanguineti, che sgambettava tra zio Antonio e zio Santo, tirando la giacca a tutti e chiedendo in prestito un fondo di bottiglia scuro per guardare quel fenomeno raro; e la ricorda il meccanico, Nasca, a quell’ora ancora ignaro del furto subito.
E mentre il timido sole di febbraio riemergeva, un lieve vento si levò premonitore di qualche cambiamento. Io me ne andai nel pomeriggio, senza nemmeno riuscire a salutarti. Questo è il mio ricordo del 15 febbraio 1961.
Sai, dicono che con gli anni sia diventato burbero, spigoloso, brontolone, però sopperisco a tali inettitudini in altro modo: leggo tanto, Giulia. Le parole degli altri mi aiutano a dare voce alle emozioni che provo, che ho sempre provato, ma a volte fatico a riconoscere. Allora, prendo in prestito le voci altrui, di quelli più bravi di me, di certi ultimi romantici, di quelli che quando si tratta d’amore l’ultima volta, in verità, è sempre la penultima.
Giulia, e se quel giorno per noi fosse stato il penultimo? La prossima eclissi totale di sole non sappiamo quando avverrà, dicono tra 80 anni, forse. Noi non abbiamo tutto questo tempo: ti andrebbe di sposarmi ora?»
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